Quantcast
Channel: pardo d'oro - Nuovo Cinema Locatelli
Viewing all articles
Browse latest Browse all 22

Locarno Festival 2015. Recensione: BELLA E PERDUTA. L’unico film italiano del concorso è un bellissimo film

$
0
0

get-7Bella e perduta, di Pietro Marcello. Con Tommaso Cestrone, Sergio Vitolo, Gesuino Pittalis. Concorso internazionale.
get-9Son naturalmente diffidente verso il cinema-favola, il cinema-apologo. Ma Bella e perduta, l’unico film italiano del Concorso, pur percorrendo quell’impossibile e spesso fastidiosa strada, mi ha convinto davvero. Nella Campania un tempo felix ora ridotta a terra dei fuochi, si muovono un uomo dal cuore puro, un Pulcinella e un bufalotto pensante e parlante. Per dirci cosa? Lasciamo stare i messaggi, quel che conta è la grazia infinita di un film che con leggerezza passa dal reale al fantastico e ci sa comunicare senza retorica il senso della natura, e la nostra appartenenza animale. Con molti echi: dal Pasolini di Uccellacci e Uccellini a Michelangelo Frammartino al Christophe Honoré di Métamorphoses e il Malick di The Tree of Life. Film insieme semplice  fino alla naïvité, e altamente stratificato. Pardo? Voto 8
get-8L’unico film italiano del concorso è un bellissimo film. Di Pietro Marcello, autore campano con lunga pratica di documentario, avevo visto qualche anno fa il parecchio interessante La bocca del lupo, vincitore (con merito) al Torino Film Festival, uno dei primi casi di cinema ibridato tra docu e fictionalizzazione. Una pratica oggi universale, perfino inflazionata, di cui si vedono plurimi esempi a ogni festival in giro per l’Europa. Stavolta Pietro Marcello, con la immagino decisiva collaborazion alla sceneggiatura di uno bravo come Maurizio Braucci (vedi alla voce Pasolini di Abel Ferrara), aumenta il tasso di fictionalizzazione pur mantenendo l’occhio sensibile al paesaggio, alle cose, alle persone di chi sa guardare, cogliere, registrare. Si inoltra su una strada difficile, per la quale ci vuole coraggio e forse incoscienza, o magari naïvité, dove basta un niente per incespicare e finire disastrati. Quella del cinema-fabula, del racconto tra il reale e il fantastico dove il visibile si mescola a quanto è occulto, dove il sogno e l’incubo si fanno produttori di realtà e viceversa, dove vivi e non più vivi convivono, dove la cronaca si fa mito, fuoriesce dal tempo storico e si eternizza. Ci vuole scorza dura per tentare un film così, e la riuscita è eccellente, al di là di ogni ottimistica aspettativa, almeno da parte mia. Sono sempre diffidente verso il cinema favolistico, verso il fantastico soprattutto con impronta e pretese autoriali e tendenza all’apologo esemplare, ma devo dire che a Marcello riesce – in territorio e cultura campani, e su scala ridotta -, quello che non è purtroppo riuscito, pur con mezzi maggiori, a Matteo Garrone con Il racconto dei racconti. Ci si muove in un paesaggio che, nella sua purezza rurale, sembra quello omerico o dei miti greci. Ulivi, pascoli, mandrie di bufali, greggi, spelonche, fonti miracolose, alberi magici. E che però ci vien mostrato anche nel suo degrado ultimo, quello ormai passato alla memoria di tutti come terra dei fuochi, immondizie e falò a deturpare l’armonia. L’armonia perduta, per dirla con Raffaele La Capria. Un uomo di nome Tommaso, un giusto, un puro di cuore, si prende cura da solo, e senza ricevere alcun compenso, di una reggia di campagna borbonica lasciata andare e diventata discarica. La ripulisce, la custodisce, ne diventa il simbolo, l’Angelo di Carpitello lo chiamano. Trova un giorno nella campaga un giovane bufalo abbandonato, orfano, lo adotta, lo cura. Un bufalo che scopriamo essere parlante e pensante (la voce è di Elio Germano, e vi prego di non ridere, tutto sullo schermo appare miracolosamente naturale e credibile, per dire quant’è bravo Marcello). Ma quando Tommaso muore ecco che arriva un Pulcinella, che non è solo la maschera che sappiamo, ma pure una creatura intermediaria tra il mondo dei morti e quello dei vivi, capace di parlare con gli uni e con gli altri, e di connetterli tra loro. Tocca a lui occuparsi adesso del bufalotto, e condurlo dall’uomo cui Tommaso ha deciso di lasciarlo. Lo strano viaggio dela strana coppia Pulcinella-bufalo comincia, ed è un viaggio anche nel tempo e nella struttura profonda e archetipale nostra. Viene in mente certo Pasolini, ovviamente, quello di Uccellacci e uccellini in primis (di cui Bella e perduta a momenti mi sembra una citazione), ma anche – nella compresenza di vivi, morti, e mai morti che ritornano – l’Apichatpong Weereasethakul di Uncle Boonmee e Cemetery of Splendour. Ma se c’è un film gemello, quello è Métamorphoses di Christophe Honoré, capolavoro misconosciuto dello scorso anno che metteva in scena in paesaggi di oggi e insieme eterni le storie di uomini e animali, e di uomini-animali, tratte da Ovidio. Qui in Bella e perduta c’è la stessa grazia, la stessa leggerezza, lo stesso senso panico, il fluire ininterrotto tra l’umano e l’animale, la loro connessione. Purtroppo c’è qualche sentenziosità di troppo, trapela nel parlato (e nel pensato del bufalotto) una stucchevole ideologia eco-animalista, e anche la retorica sulla terra dei fuochi e l’assenza dello stato non è evitata. Ma sono pecche marginali, in un film lieve, aereo e insieme profondo, con sequenze folgoranti. In grado di creare dal niente momenti assoluti. Ebbene sì, qua e là ci si commuove e si rischia di piangere. Perché al bufalotto ci si affeziona come al Bambi disneyano. A questo punto possibile Pardo.

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 22

Trending Articles